Euripide[1] (di cui ci sono giunte diciassette tragedie autentiche e un dramma satiresco) ridusse l’importanza del coro. E tutto ciò in meno di un secolo: dal 500 (anno del debutto di Eschilo) al 406, anno in cui muoiono Sofocle e Euripide. Poi, mentre fino al 388 si sviluppa ancora la commedia di Aristofane, tutto sembra spegnersi, finire con la fine dei tre grandi tragici. Certo gli spettacoli continuano, si continuano a scrivere tragedie, ma non ci rimangono che nomi di autori e titoli di opere, nient’altro. Era finito lo splendido periodo della libertà ateniese, quella per la quale il teatro aveva una tale importanza sociale che lo Stato pagava il prezzo del biglietto d’ingresso (un obolo) ai cittadini che non potevano permetterselo, che attribuiva alla liturgia dell’allestimento teatrale tanta importanza quanta a quella dell’allestimento di una trireme, quella che aveva permesso di mettere le basi di ogni speculazione intellettuale di cui ancor oggi sentiamo non solo gli echi, ma anche gli stimoli.
[1] Euripide
(480 –
Opere pervenute: Alcesti, Medea,
Gli Eraclidi, Ippolito, Andromaca, Ecuba, Eracle, Le supplici, Ione, Le Troiane,
Ifigenia in Tauride, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Ifigenia in Aulide, Le
baccanti; un dramma satiresco, Il Ciclope.
Con Euripide il dibattito sui temi
etici diventa più serrato; egli si apre a questioni mai discusse a teatro, che
erano, però, al centro di un dibattito filosofico che vedeva protagonisti i
sofisti: se gli dei sono giusti, se la nobiltà è un fatto di sangue o di
educazione, se è meglio per l’eroe morire o accettare con spirito di
sopportazione la propria sorte. Alcune sue figure femminili, come la generosa
Alcesti che muore per il marito, la maga Medea che sacrifica per vendetta i
suoi figli, o la passionale Fedra dell’Ippolito (che si innamora del
figliastro e poi si uccide), sono diventate figure chiave della storia del
teatro (e non solo). Le sue Baccanti sono l’unica tragedia ad avere come
protagonista Dioniso, il dio in onore del quale si celebravano le Grandi
Dionisie (le feste durante le quali si svolgevano gli agoni drammatici). A lui
si deve anche l’introduzione e l’ampio impiego del deus ex machina, un
personaggio divino che interveniva a risolvere all’ultimo momento situazioni
irrimediabili calando dall’alto di una macchina scenica.
Il razionalismo di Euripide intende
criticare la mitologia corrente e le sue favole religiose da un punto di vista
morale, al fine di rivendicare un’etica più ragionevole ed umana. I suoi nobili
desideri di scrittore “laico” e “progressista” che, deluso, vagheggia tuttavia
una umanità migliore e leggi etiche e sociali più giuste, lo lasciano nel
dubbio o nella vaga speranza. La sua grande virtù non è quella di credere, ma,
se mai, quella di cercare di capire.